Stiamo attraversando ormai da mesi un’emergenza sanitaria che ha sovvertito la quotidianità di ognuno. Un tempo drammatico che ha contenuto le sfumature più contrastanti: dal dolore all’incredulità, dalla noia alla gioia per le piccole cose.
Quando ad inizio Aprile abbiamo lanciato la Call PAROLE AL FUTURO, eravamo colpiti dall’imperante linguaggio di guerra usato per raccontare i giorni più concitati del covid-19. Un linguaggio di guerra che, se da una parte risultava efficace per chiarezza e capacità di compattare le masse contro il nemico, dall’altra ci faceva scivolare all’interno di un immaginario pericoloso e ambiguo per confusione di concetti e priorità.
Tanti linguisti, sociologi, economisti, scrittori, giornalisti insistevano sulla necessità di trovare parole più adeguate, che tenessero conto della complessità della questione, della cura del tessuto sociale e della ricostruzione che ci attendeva e che oggi pare più vicina (rimandiamo qui a una rassegna stampa dedicata al tema).
Il linguista Massimo Vedovelli, ad esempio, faceva un appello alla ragione e a un’etica della comunicazione che mirasse a “lottare contro l’inesprimibile” e a “creare la relazione sociale“. Mimmo Cortese nelle pagine del portale Comune-Info scriveva, proprio dalla funestata città di Brescia, che le parole per affrontare la pandemia erano “cura, ricerca medica, responsabilità, condivisione, attenzione, salute, precauzione, guarigione, cautela, solidarietà, fragilità, lentezza, protezione, amore. Nulla a che vedere né con la guerra né con i simboli che essa propala e scatena”.
Ecco, la Call PAROLE AL FUTURO nasceva per provare a dare un nome alle cose nel tempo in cui tutto cambiava, per esprimere un senso di vicinanza, uno stare insieme attento: proteso al domani e pieno di speranza nonostante la paura.
Sembra passato molto, in realtà sono trascorse solo alcune settimane. Abbiamo raccolto contributi dagli Enti che come Fondazione erogativa sosteniamo e che rappresentano i nostri primi interlocutori; da altre Fondazioni e da realtà impegnate a livello nazionale in attività bellissime e resilienti; da singoli cittadini che hanno voluto essere parte attiva.
Queste parole le trasformeremo da ora in poi in semi di riflessione per le giornate che ci attendono. Ma anche in semi di fiori che pianteremo nel vero senso della parola, per far crescere e moltiplicare il coraggio di cui avremo bisogno nei prossimi tempi.
Stiamo facendo i conti con radicali cambiamenti: “Almeno un metro di distanza, con mascherina e guanti, vietato abbracciarsi. Il distanziamento sociale richiesto in questo momento per tutelare la salute di tutti impone un nuovo linguaggio relazionale” commenta Barbara Mattioli dell’Associazione RAD (Ricerca/Azione/Diritti).
Stiamo facendo i conti con ciò che ci spaventa: “Siamo arrabbiati, siamo impauriti ed abbiamo smesso di sognare, pensiamo che la luce sia alle nostre spalle e non di fronte a noi; abbiamo fatto si che le nostre visioni svanissero e abbiamo smesso anche di sperare e di avere fiducia – afferma Florinda Saieva di Farm Cultural Park – Allora il mio invito è quello di riappropriarci delle utopie collettive, come speranza e interpretazione della realtà, forse a volte pensiamo che l’utopia sia come l’orizzonte che si allontana ogni volta che pensiamo di avvicinarci lo percepiamo sempre più distante, ma guardandoci indietro ci accorgeremo di avere fatto tanta strada”.
Stiamo facendo i conti con i diritti delle persone, con il dentro e con il fuori. “Con chi è potuto stare dentro. Dentro un sistema di accoglienza, dentro una rete di cura. Con chi è rimasto fuori. Fuori dal sistema di accoglienza, fuori dalle comunità, fuori dai dormitori, fuori dall’assistenza domiciliare, fuori dai servizi educativi, fuori cioè in strada. Questo virus ci ha costretto a cambiare non solo il nostro approccio alla relazione, ma anche quello dell’accoglienza, ponendo delle domande che rimettono in discussione il nostro stesso lavoro – scrive la Cooperativa Sociale Polo9 – Quando potremo tornare fuori, a vivere i territori, le nostre comunità, confidiamo di ricordarci che non possiamo permetterci di dimenticare che stare dentro è un diritto di tutti”.
Stiamo facendo i conti con la nostra resilienza: “Abbiamo deciso sin da subito che questa quarantena fosse per noi attesa creativa, abbiamo scelto che fosse generatrice di pensieri, idee, progetti, percorsi” – hanno dichiarato le attiviste di Percorso Donna.
A coloro che hanno partecipato è dedicata, innanzitutto, la fioritura di PAROLE AL FUTURO
PAROLE RACCOLTE: UTOPIE COLLETTIVE – DENTRO/FUORI- OPPORTUNITÀ- ATTESA CREATIVA – PENSIERI – IDEE – PROGETTI – PERCORSI – DOMANI – SOGNI – SPERANZE – FEMMINISMO – SORELLANZA – RISPETTO – PREGIUDIZIO – OBBEDIENZA – DISOBBEDIENZA – NULLA – LIBERTÀ – VULNERABILITÀ – TEMPO – STEREOTIPO – CALMA – SERENITÀ – SILENZIO – APPROFONDIMENTO – DIGNITÀ – RESPONSABILITÀ- PAZIENZA – GIOIA – TEMPESTA – VENTO DI CAMBIAMENTO – FONDI – DISTANZA SOCIALE – COLLETTIVITÀ – SOTTOSOPRA – FERMARE – FURIOSO – FRUTTARE – RALLENTARE LA CORSA – NOSTRA SPECIE – CASA – DONI – MADRI – DELICATA – TRISTE – ALIENAZIONE – PARADOSSO – RELAX – EQUILIBRIO – NATURA – ATTESA – IMMAGINAZIONE SOCIALE
HANNO PARTECIPATO: COOPERATIVA L’IMPREVISTO (Pesaro)/ ASSOCIAZIONE RAD (Pesaro)/ ASSOCIAZIONE TRAME DI QUARTIERE (Catania)/ BOTTEGA DEL TERZO SETTORE (Ascoli Piceno)/ ITTICO ART LAB (Pesaro)/ FONDAZIONE DI COMUNITA DEL CANAVESE (Ivrea)/ FARM CULTURAL PARK (Favara) /T’IMMAGINI ONLUS (Pesaro)/ POLO9 (Ancona)/ PERCORSO DONNA (Pesaro)/ GIULIA GUADAGNOLI (Bologna) /TATJANA CINQUINO (Pesaro)/ ASSIFERO ( (Associazione Italiana delle Fondazioni ed Enti della filantropia Istituzionale)